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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e servizi di investimento – L’AGCM ha disposto la sospensione cautelare dei messaggi con cui Deutsche Bank reclamizzava un’operazione a premi

Con la decisione pubblicata lo scorso 23 aprile, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha disposto in via cautelare la sospensione dei messaggi pubblicitari diffusi da Deutsche Bank S.p.A. (DB) per la reclamizzazione dell’operazione denominata “Fai più 1%”. Tali messaggi pubblicitari, infatti, promettendo “un premio del +1% sul capitale investito”, indurrebbero il consumatore a credere di potere realizzare rendimenti di ammontare elevato rispetto ai tassi di rendimento medi dei prodotti finanziari; tuttavia l’entità dei rendimenti realmente ottenibili risulterebbe significativamente inferiore e assoggettata a numerosi limiti e condizioni, caratterizzando pertanto la comunicazione pubblicitaria come ingannevole.

In primo luogo, secondo la ricostruzione dell’AGCM, mentre gli slogan pubblicitari potrebbero indurre i consumatori a credere che il “premio” ivi citato sia costituito da un rendimento in denaro , tale premio sarebbe invece elargito da DB nella forma di punti virtuali spendibili presso esercizi commerciali affiliati ad un determinato circuito convenzionato.

L’AGCM rileva altresì che le condizioni di calcolo e di accumulo di detti punti risulterebbero basate su un meccanismo “complesso e di difficile comprensione”, le cui caratteristiche renderebbero comunque assai improbabile ottenere il rendimento reclamizzato. Anche il calcolo del premio, nella proporzione dell’1%, sarebbe effettuato non sul totale dell’investimento ma sul valore minore tra gli apporti a ciascuna categoria di investimento; in altre parole, gli investimenti effettuati sono suddivisi in categorie, denominate Nuovi apporti provenienti da altro Istituto, Raccolta Netta Investimenti, Raccolta Netta Gestita “estesa” e Riduzione dei Saldi Creditori di C/C; il premio è pari all’1% del valore minimo tra gli apporti di ciascuna categoria, con la conseguenza che il premio potrebbe risultare di gran lunga inferiore all’1% nel caso in cui l’apporto della categoria che di minor entità fosse proporzionalmente di molto inferiore rispetto alle altre. Da ultimo, l’AGCM ha rilevato che il funzionamento del sistema del calcolo del premio, facendo uso di sistemi di arrotondamenti e scaglioni, riduce ulteriormente e in modo significativo i punti effettivamente attribuito al consumatore rispetto alla percentuale reclamizzata.

In ragione di quanto detto, l’AGCM ha valutato, da un lato, sussistente la probabilità della sussistenza di un illecito consumeristico (il c.d. fumus bonis iuris), per via dei significativi profili di ingannevolezza, e, dall’altro, il rischio di un danno grave e irreparabile (il c.d. periculum in mora), costituito dalla possibilità che i consumatori, soprattutto in ragione dei tempi ristretti per l’adesione al programma reclamizzato, si affrettino a impiegare i propri mezzi finanziari inutilizzati o a spostarli da diverse forme di impiego per sottoscrivere il piano reclamizzato da DB. L’AGCM ha pertanto disposto (i) la sospensione provvisoria dei messaggi pubblicitari in parola; e (ii) la pubblicazione, sul sito internet di DB, di un messaggio recante un estratto della delibera stabilente dette misure cautelari.

Il provvedimento in commento conferma come il settore dei servizi finanziari sia prioritario nell’attività di enforcement dell’AGCM, e che il rischio dell’imposizione di provvedimenti cautelari, in circostanze simili a quelle sopra descritte, è concreto. Al di là delle più che probabili successive conseguenze sul piano sanzionatorio, l’impatto reputazionale di tali misure non può essere sottovalutato.

Riccardo Fadiga
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Pratiche commerciali scorrette e mercato delle acque oligominerali in bottiglia – Il TAR Lazio conferma il divieto di pubblicizzare eventuali proprietà delle acque minerali in grado di incidere sullo sviluppo di patologie

Con la sentenza pubblicata lo scorso 19 aprile, il TAR Lazio (TAR) ha respinto il ricorso presentato dalla società Co.Ge.Di. International S.p.A. (Co.Ge.Di. o la Ricorrente) avverso il provvedimento dell’Autorità della Concorrenza e del Mercato (AGCM o l’Autorità) –adottato in data 6 novembre 2013 (il Provvedimento) al termine di un procedimento avviato su segnalazione dell’associazione Altroconsumo –con il quale ha sanzionato la Ricorrente e la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG) per un ammontare pari a, rispettivamente, €100.000 e €30.000 per quanto rappresentato in una campagna pubblicitaria relativa alle acque ‘Uliveto’ e ‘Rocchetta’ (le Acque) – dei cui marchi la Ricorrente è titolare – contraria alla normativa posta a tutela dei consumatori.

Al fine di meglio comprendere la pronuncia in parola è opportuno introdurre brevemente i punti principali del summenzionato Provvedimento. Nel 2013, la società Co.Ge.Di., in collaborazione con la FIMMG, ha lanciato una massiccia campagna promozionale – la quale ha visto l’impiego non solo di claim pubblicitari televisivi e radiofonici ma anche di locandine affisse negli studi dei medici affiliati alla FIMMG – volta ad enfatizzare ipotetiche proprietà curative delle proprie Acque. Ad avviso dell’Autorità, tale campagna è risultata idonea a condizionare indebitamente il consumatore nella libera determinazione delle proprie scelte commerciali per due ragioni: (i) alcune delle diverse proprietà curative enfaticamente presentate dalla Ricorrente non sarebbero risultate veritiere; (ii) l’affissione delle suddette locandine negli studi medici avrebbe comportato l’ingenerarsi nel consumatore della convinzione che la FIMMG stessa avesse avvalorato, tramite una specifica valutazione sul piano scientifico, le proprietà curative reclamizzate. In relazione a tale ultimo punto, in particolare, l’AGCM ha anche sottolineato la natura puramente commerciale dell’accordo intercorso tra le parti sanzionate, tramite il quale alla Ricorrente è stato concesso di utilizzare il logo della FIMMG nelle summenzionate locandine.

Il TAR ha rigettato nella loro interezza i motivi di impugnazione addotti dalla Ricorrente. In particolare, il TAR ha respinto la doglianza secondo cui la condotta contestata sarebbe stata episodica e discontinua, sostenendo che le presunte proprietà terapeutiche delle Acque sono state reclamizzate per un “apprezzabile periodo di tempo”. Non hanno trovato accoglimento neanche le argomentazioni presentate da Co.Ge.Di. relative alla mancata considerazione del presunto ‘ravvedimento operoso’ nel corso dell’istruttoria, in quanto quest’ultimo – ad avviso del TAR – sarebbe consistito in un mero comportamento interruttivo concernente solo alcuni dei messaggi promozionali oggetto di sanzione.

Relativamente all’accordo intercorso tra la Ricorrente e la FIMMG, il TAR – sposando pienamente la tesi sostenuta dall’Autorità – ha disposto che la collaborazione scaturente dallo stesso sarebbe stata oggettivamente idonea a convincere un consumatore mediamente attento del fatto che la FIMMG stessa raccomandasse effettivamente il consumo delle summenzionate Acque per via delle loro declamate proprietà terapeutiche.

In relazione, in ultimo, all’asserita veridicità dei claim pubblicitari, il TAR ha riconosciuto che il Provvedimento impugnato ha inteso sanzionare non solo la collaborazione con la FIMMG ma anche la natura ed il contenuto di alcuni dei messaggi promozionali ritenuti vietati (in quanto sprovvisti di autorizzazione da parte del Ministero della Salute). In relazione a ciò, il TAR ha affermato che, in conformità alla normativa vigente, la pubblicizzazione di proprietà terapeutiche di un’acqua oligominerale riferibili a determinate patologie ‘sensibili’ – quali, ad esempio, l’osteoporosi e/o l’insufficienza renale – deve ritenersi sempre vietata, ancorché simili capacità siano accreditate da studi e ricerche prestigiose).

Si dovrà attendere il possibile appello al Consiglio di Stato da parte di Co.Ge.Di. per vedere se la ricostruzione sopra ricordata sarà confermata. In ogni caso, la presente sentenza è di interesse in quanto conferma la sensibilità dell’Autorità in relazione all’utilizzo di informazioni di natura medico-terapeutica nelle campagne pubblicitarie.

Luca Feltrin
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Legal news / Gare pubbliche d’appalto e natura di consorzio stabile – Il Consiglio di Stato si pronuncia sulla natura di consorzio stabile di un partecipante ad una gara pubblica

Con la sentenza del 16 aprile 2019 il Consiglio di Stato (CdS) ha chiarito che la qualificazione di ‘consorzio stabile’ attribuita ad un operatore economico nel quadro di una procedura di gara pubblica deve essere valutata alla stregua di una ricostruzione sostanzialistica dei suoi tratti identificativi.

La vicenda trae origine dalla partecipazione del Consorzio Mediterraneo – Co.Med (Co.Med) ad una gara bandita da ARCA S.p.A., centrale di committenza della Regione Lombardia, per l’affidamento dei servizi di gestione e manutenzione delle apparecchiature elettromedicali. Nel quadro più ampio della contestazione, da parte di uno degli operatori partecipanti alla gara, dell’ammissione alla procedura di gara di Co.Med e Zephyro S.p.A. (Raggruppamento temporaneo di imprese), era stata eccepita anche la circostanza che Co.Med si fosse auto-qualificato come consorzio stabile pur non potendo, secondo l’operatore ricorrente, essere qualificato come tale.

In primo grado il Tribunale Amministrativo della Lombardia si era pronunciato a favore del ricorrente, valorizzando una serie di elementi formali idonei, secondo il giudice di prime cure, ad escludere la possibilità che il Co.Med potesse essere qualificato come consorzio stabile. Il CdS, invece, valorizzando la sussistenza di alcuni indici sostanziali, ha raggiunto conclusioni di segno opposto.

In primo luogo, il CdS ha fatto riferimento alla giurisprudenza che ha ritenuto che la possibilità di qualificare come ‘consorzio stabile’ un soggetto imprenditoriale debba “essere accertata sulla scorta di una ricostruzione sostanzialistica dei suoi tratti identificativi”.

In secondo luogo, il CdS ha preso in esame l’atto costitutivo del Co.Med, ritenendo che esso delineasse un modello organizzativo del tutto compatibile con lo schema normativo di riferimento e concludendo che la finalità per cui era stato costituito era effettivamente quella di partecipare a procedure di affidamento.

In terzo luogo il CdS prende in esame la giurisprudenza richiamata dal giudice di primo grado, secondo cui è essenziale “l’astratta idoneità del consorzio […] di operare con un’autonoma struttura di impresa, capace di eseguire, anche in proprio, ovvero senza l’ausilio necessario delle strutture imprenditoriali delle consorziate, le prestazioni previste dal contratto”. Sul punto, il CdS osserva che, anche alla luce della giurisprudenza citata, ad avere efficacia dirimente è la sussistenza di “un complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” ai sensi di quanto previsto dalla nozione civilistica di azienda.

Ciò che connota l’azienda, infatti, non è la diponibilità materiale dei mezzi e delle attrezzature che consentono lo svolgimento dell’attività produttiva, bensì la loro disponibilità giuridica, ossia il complesso di quei rapporti giuridici che consentono all’imprenditore di disporre dei beni necessari all’esercizio dell’impresa, nonché la capacità dell’imprenditore di asservire tali beni ad una nuova funzione produttiva, diversa rispetto a quella propria delle imprese consorziate che mettono a disposizione detti beni. Tale capacità, invece, verrebbe meno ove il consorzio operi servendosi tout court della struttura imprenditoriale delle imprese consorziate.

Ciò posto, il CdS ha ritenuto che nel caso di specie la sussistenza di un’autonoma struttura d’impresa non potesse essere esclusa dal fatto che (i) il Co.Med non disponesse di suoi dipendenti ma si avvalesse di quelli delle sue consorziate; (ii) che il Co.Med e le sue consorziate avessero una comune sede legale ed operativa; e (iii) che il Direttivo del Co.Med era composto da soggetti che, al contempo, erano soci o amministratori delle consorziate.

Con la sentenza in commento il CdS chiarisce che la qualifica di ‘consorzio stabile’ deve essere riconosciuta sulla base di una valutazione degli aspetti sostanziali da effettuarsi caso per caso, sulla base di una valutazione non facile e che – nella pratica – lascia aperto un certo margine di incertezza.

Roberta Laghi